Il rischio attuale, ben rappresentato da certe forme di psicoterapia, è quello di una patologizzazione del normale, di una medicalizzazione della vita. Siamo diventati tutti portatori potenziali di turbe da scoprire e prevenire, da catalogare in liste che si allungano all' infinito. Tutto diventa sindrome. In questa direzione l' etichetta diagnostica diviene un tappo che mette a tacere la particolarità propria a ciascun soggetto. È per questo che invito i miei pazienti a parlare, ad interrogarsi sul proprio malessere. Il sintomo è un messaggio che il soggetto esprime, l'espressione di un desiderio che, fintanto che rimane cifrato, porta solo guai, difficoltà con gli altri e sofferenza, ma se viene articolato in parole, ed è questo il lavoro dell'analisi, comincia ad essere più fruibile e a cambiare.
Ascoltare le persone una per una: ogni paziente è sempre un primo paziente.
Ricordo spesso ai miei pazienti che io non sono un meccanico e loro non sono delle macchine da aggiustare, non sono oggetti governati da meccanismi chimici, numeri di una statistica (come vorrebbero le case farmaceutiche), ma soggetti con una storia che li riguarda, di cui sono responsabili. Ridare posto alla propria parola, ascoltarla, tuttavia è qualcosa che richiede del tempo, un tempo diverso da quello dell' emergenza in cui siamo abituati a vivere. Nella società del benessere diffuso e della corsa al successo lo stare male è infatti considerato una vergogna, qualcosa da ignorare o cancellare al più presto. In questo modo però la sofferenza non scompare, tuttalpiù si sposta.
La tariffa è flessibile in relazione alla situazione economica e al percorso di cura di ogni singolo soggetto.
Ritengo fondamentale, oltre agli studi compiuti, all' esperienza maturata nel settore e al continuo aggiornamento, il percorso di analisi personale che ho svolto e portato a termine.