Una formazione estera sembra particolare per chi, nel campo della psicologia, opera spesso con la propria lingua madre. Eppure la possibilità di incontrare una nuova lingua e una nuova cultura per me in Argentina, uno dei paesi con i livelli più bassi di pregiudizio verso la psicoterapia, mi ha permesso di ampliare la comprensione delle esperienze delle persone e l'utilizzo di nuove conoscenze e tecniche per avvicinarmi di più alla cura personale.
Quando ero studente pensavo, ingenuamente, che era uno di quei lavori in cui potevi non mettere la cravatta e non usare una valigetta per portarti dietro i documenti vari. Oggi risponderei che ancora non ho bisogno di cravatte o valigie, che però sono qualcosa che mi porto dentro: sono la serietà e la preparazione per fare un certo lavoro, sono gli strumenti, cartacei e non, che possiamo utilizzare o costruire insieme io e il paziente. Questa possibilità creativa ci scoprirsi insieme è forse la cosa più bella di fare questo lavoro, che mai potrà esaurirsi perché ogni persona è un territorio diverso e incredibile.
Ci sono alcune richieste dei pazienti che portano con sé domande più grandi, che parlano della loro storia e della possibilità di dedicare attenzione e cura ad una parte di loro stessi. Secondo le possibilità di percorso cerco di dare spazio a parti di lavoro che possano farci incontrare e riconciliare con aspetti della nostra vita che ancora non hanno trovato un modo per potersi raccontare appieno. In questo la mia formazione in psicoterapia psicoanalitica e gruppoanalitica rappresenta un approccio adatto a questo tipo di percorsi, meno esclusivamente legati all'intervento sul sintomo singolo e più al benessere globale della persona.